Ogni carcerato deve disporre in cella di uno “spazio calpestabile” di almeno 3 mq.
Dopo il tanto discusso caso “Riina“, la Cassazione continua ad occuparsi della dignità dei reclusi.
Se rispetto al boss corleonese a finire sotto esame è stata la compatibilità di un precario stato di salute con il regime carcerario, non è certo solo questo l’aspetto da valutare per considerare “vivibile” una cella.
Quanto a garanzie per i detenuti è la sentenza della Corte EDU “Torregiani” a fare da apripista, introducendo nel 2013 la presunzione per la quale sarebbe inumana e degradante la restrizione del singolo carcerato, anche se solo per dormire, in uno “spazio vitale” inferiore ai 3 mq.
Molte sono le richieste di risarcimento pecuniario o di sconto di pena che ne sono seguite, avanzate da chi si ritenesse leso nei propri diritti fondamentali per aver scontato almeno parte della condanna in un regime inumano.
Recentemente, la Suprema Corte Penale (sent. n. 41211/17) ha nuovamente rammentato che, ai fini della valutazione dell’umanità del trattamento, il precitato “spazio individuale minimo” di 3 mq deve essere inteso come “spazio calpestabile”, da calcolarsi dunque al netto dell’ingombro dei servizi igienici e degli altri arredi fissi (tra i quali il letto a castello).
Tanto la Cassazione ha riaffermato esaminando la vicenda di un galeotto che, oltre alla ristrettezza della cella, lamentava la mancanza di attività rieducative, il poco tempo all’aperto, l’assenza di acqua calda e la presenza di soli servizi igienici “a vista”.
Nell’occasione i Giudici hanno precisato che per valutare l’inumanità del trattamento è necessario innanzitutto calcolare l’ampiezza dello “spazio vitale” a ciascuno riservato: qualora questo sia inferiore a 3 mq dovrà considerarsi l’eventuale sussistenza di ulteriori parametri (come la possibilità di attività all’esterno della cella, la buona condizione dell’istituto, l’adeguatezza dei servizi igienici..) che possano, compensando il primo aspetto, rendere complessivamente accettabile il trattamento.
Nel concreto, la decisione annulla la precedente che negava la disumanità del regime sopportato, incaricando il Tribunale di Sorveglianza di un nuovo esame della vicenda.
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