Devono ritenersi deducibili ed inerenti i costi di sponsorizzazione sostenuti dall’impresa nei limiti di cui all’art. 90, co. 8, L. n. 289/02.
A ribadire quanto sopra è l’ordinanza n. 21333/17 con la quale la Corte di Cassazione conferma che quella dettata dalla norma deve intendersi presunzione legale assoluta che qualifica come spese di pubblicità, congrue ed inerenti all’esercizio dell’attività commerciale, le somme corrisposte da un’impresa ad associazioni sportive dilettantistiche e a fondazioni costituite da istituzioni scolastiche .
Per comprendere l’incidenza favorevole di tale pronuncia sulle sorti del contribuente merita fare un passo indietro.
Come noto, la deducibilità dei costi è legata a filo doppio al principio di inerenza: i costi possono infatti essere portati in deduzione soltanto se, e nella misura in cui, si riferiscano ad attività o beni da cui derivino ricavi o altri proventi che concorrano a formare il reddito, o che non vi concorrano in quanto esclusi (art. 109, co. 5, TUIR).
Ma chi deve dare prova dell’inerenza di un costo? L’imprenditore che lo porta in deduzione o l’amministrazione che la contesta?
Secondo la prevalente giurisprudenza, quest’onere grava sul contribuente il quale, a seguito di un’eventuale contestazione, dovrà dimostrare l’inerenza all’attività del costo e la sua coerenza. In altri termini, nel momento in cui venga contestata un’illegittima deduzione di spesa spetterà all’imprenditore dimostrare l’effettività del nesso tra il dato importo e l’attività commerciale.
E’ in tale contesto che si cala dunque il predetto art. 90, per il quale “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili (…) costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario(…)“.
Su tale norma molto si è dibattuto, taluni leggendovi una “presunzione assoluta di inerenza”, altri invece limitandola ad una qualificazione in termini di “costo pubblicitario” dell’importo versato, priva di incidenza in termini di inerenza.
Chiaro è dunque che soltanto aderendo alla prima delle due impostazioni si esonera il contribuente dalla prova dell’inerenza di un costo che, di contro, potrà essere (se documentato e ragionevole) comunque portato in deduzione.
Ed è proprio questa la tesi abbracciata dalla Suprema Corte che, sulla scia di ulteriori precedenti, si mette dalla parte del contribuente confermando che un costo di sponsorizzazione uguale o inferiore a 200.000,00 euro è per definizione sono solo “pubblicitario”, ma anche inerente e congruo. Con conseguente automatica deducibilità e, soprattutto, con buona pace dell’amministrazione finanziaria.
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