Se un figlio è cresciuto ed in grado di lavorare perde il diritto al mantenimento.
A ribadirlo è la Cassazione, che trattando un tema particolare, conferma che il figlio ormai cresciuto deve mantenersi da solo, o almeno provare a farlo.
Se infatti esiste per ogni genitore l’obbligo di mantenere il figlio, aiutandolo a realizzarsi negli studi e nei propri sogni, esiste al pari anche un obiettivo di indipendenza che non può essere, dal giovane, rimandato all’infinito.
Al vaglio della Corte è il caso di un ragazza romana che, maturata l’idea di cambiare sesso, chiedeva che il padre fosse obbligato a mantenerla per tutto il percorso medico e per il periodo di adattamento alla nuova realtà.
Il genitore, obbligato in ragione delle indubbie difficoltà incontrate durante l’iter sia in termini di disagio psicologico che di adattamento, versava per tre anni alla figlia 400 euro mensili.
Trascorso tale periodo, egli riteneva però concluso il suo obbligo, anche dato il compimento dei 30 anni del figlio e la sua raggiunta capacità lavorativa.
Chiamate a pronunciarsi sulla vicenda, dapprima la Corte d’Appello di Roma ed in seguito la Suprema Corte danno dunque ragione al genitore, stigmatizzando la mancata ricerca di lavoro da parte del giovane e non ritenendola più giustificabile da quanto vissuto.
Secondo i giudici, infatti, il periodo trascorso dall’operazione deve ritenersi congruo all’adattamento del ragazzo alla nuova realtà ed al suo inserimento in società, anche dal punto di vista lavorativo.
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