Sempre più spesso incontriamo nel nostro Paese persone che, per fattezze e lineamenti, etichettiamo come straniere. Ma è davvero sempre così?
E’ la L. n. 91/92 a definire gli attuali criteri di attribuzione della cittadinanza italiana, prevedendo che sia cittadino della Repubblica:
– il figlio nato o adottato minorenne da padre e/o madre cittadini del nostro Paese (“iure sanguinis“);
– il coniuge non separato di cittadino italiano una volta trascorsi, dal matrimonio, 2 anni in caso di continuata residenza in Italia, o 3 in caso residenza all’estero (“iuris comunicatio“). Questi periodi di tempo vengono dimezzati in caso di figli della coppia, e la cittadinanza viene concessa con decreto del Ministro dell’interno a seguito di una domanda presentata dall’interessato al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare.
Secondo la legge, può inoltre divenire cittadino lo straniero o apolide che:
– abbia un genitore o un nonno italiano e:
a) abbia prestato servizio militare per il nostro Paese;
b) sia dipendente pubblico italiano;
c) divenuto maggiorenne, abbia risieduto in Italia almeno 2 anni;
– abbia raggiunto la maggiore età avendo sempre risieduto in Italia.
In questi casi, colui che sia in possesso dei prescritti requisiti dovrà manifestare tempestivamente il suo interesse ad essere riconosciuto italiano.
Ulteriori ipotesi di ottenibilità della cittadinanza sono poi elencate all’art. 9 L. 91/92, che disciplina i casi in cui è un decreto del Presidente della Repubblica a concederla. Ciò è ad esempio per i cittadini UE, gli apolidi e gli stranieri che risiedano legalmente nel nostro Paese, rispettivamente, da almeno 4, 5 e 10 anni.
Ultima ipotesi, oggi residuale, è quella di attribuzione della cittadinanza “iure soli“, e dunque per territorio: questo criterio opera oggi soltanto in favore del figlio di genitori ignoti, apolidi, o cittadini di uno Stato che, nella situazione concreta, non garantisca una cittadinanza al bambino.
Un ampliamento della sua portata è però da tempo al vaglio del Senato, chiamato appunto a valutare l’opportunità di riconoscere la cittadinanza a tutti i nati nella nostra Repubblica da almeno un genitore munito di permesso di soggiorno di lungo periodo o permanente.
Inoltre, il disegno di legge in questione vorrebbe introdurre lo “ius culturae“, per cui diverrebbe cittadino italiano anche il minore straniero che, figlio di genitori ivi residenti e giunto in Italia infradodicenne, abbia regolarmente frequentato, per almeno cinque anni, i nostri istituti scolastici.
Non resta dunque che attendere il giudizio del Legislatore in merito ad una possibile riforma della L. 91/92.
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