Il discrimine tra solidarietà economica ed illegittima locupletazione sta nel giudizio sull’esistenza o no delle condizioni del diritto all’assegno“: così la Corte di Cassazione stigmatizza i casi in cui l’assegno di divorzio, anziché fonte di mantenimento, diviene fonte di arricchimento per il beneficiario.

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Con la recente e tanto discussa pronuncia n. 11504, la Corte di Cassazione coglie l’occasione per rimarcare che l’obbligo di corrispondere un assegno periodico all’ex si ispira a ragioni di solidarietà.

In altri termini: l’assegno di divorzio non può essere disposto se l’ex moglie o l’ex marito non provano di essere privi di “mezzi adeguati” e/o oggettivamente incapaci di procurarseli.

La Corte torna così sul concetto di “mezzi adeguati” cui la legge subordina la concedibilità dell’assegno, mettendo in discussione la bontà della tesi tradizionale per la quale ne sarebbe privo colui che, una volta tornato single, non manterrebbe lo stile di vita goduto nel matrimonio.

Secondo i giudici, tale orientamento non sarebbe più sostenibile e vediamo il perché.

Innanzitutto, dice la Corte, è un controsenso voler prolungare dopo il divorzio gli effetti (seppur economici) del vincolo cessato: per sua stessa natura, infatti, il divorzio non può che comportare la completa estinzione di qualsiasi rapporto fra gli ex.

Inoltre, una concezione ispirata ad un matrimonio inteso quale “sistemazione definitiva” mal si concilia con la realtà attuale, ove il vincolo è ormai unanimamente concepito come scelta autonoma, temporanea e senza dubbio modificabile.

Ancora, l’obbligare un soggetto divorziato a versare periodicamente una somma di denaro all’ex finisce per rappresentare un concreto ostacolo alla creazione di una nuova famiglia, con conseguente violazione di un diritto fondamentale dell’individuo.

Criticata la tesi prevalente e ribadito che ciascuno deve essere “autoresponsabile”, la Corte afferma che l’assegno di divorzio deve essere invece disposto soltanto a beneficio di chi non abbia, e non sia in grado di ottenere, una propria indipendenza economica. Valutazione questa che dovrà essere effettuata dai giudici tenuto conto, oltre che dei redditi, del patrimonio e della disponibilità di un’abitazione, anche della capacità di lavoro del soggetto, valutata in relazione a età, salute, sesso e momento storico.

Preso atto di questo nuovo orientamento, nel caso in cui prenda piede sarà interessante capire se davvero i giudici limiteranno l’assegno al quantum necessario ad assicurare una vita dignitosa all’ex “non economicamente-indipendente”, o se piuttosto torneranno ad una liquidazione basata sul “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”, così facendo rientrare dalla finestra quanto ora si vorrebbe far uscire dalla porta principale.

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