Sul permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale si è recentemente pronunciato il Consiglio di Stato, chiarendone la natura premiale e speciale (sent. C.d.S. n. 2021 del 03.05.2017)

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Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, regolato dall’art. 18 TU immigrazione, viene concesso a chi, vittima di violenza o sfruttamento, scelga di denunciare gli autori di reato collaborando con l’Autorità per la loro condanna.

Tale misura premia il collaboratore di giustizia consentendogli di rimanere nel nostro Paese con accesso ai servizi assistenziali, allo studio, alle liste di collocamento ed all’attività di lavoro subordinato, e ciò a prescindere dal possesso dei requisiti richiesti per l’ottenimento di un permesso di soggiorno di tipo ordinario.

Lo speciale permesso, a durata iniziale di 6 mesi, è rinnovabile per un anno o per il maggior tempo necessario per motivi di giustizia, rimanendo revocabile nei casi in cui ne vengano meno i presupposti ovvero qualora lo straniero interrompa o violi il programma di assistenza e di integrazione sociale cui deve obbligatoriamente partecipare.

Sui rapporti tra il permesso speciale di protezione e l’ordinario di soggiorno si è dunque recentemente pronunciato il Consiglio di Stato, chiamato a valutare la legittimità delle pretese di un cittadino Pakistano richiedente la conversione del proprio permesso per protezione sociale in uno ordinario di lavoro.

Motivo del contendere era sostanzialmente l’esistenza, in capo allo straniero, di un ordine di espulsione per clandestinità inflitto per 10 anni nel 2012. Tale provvedimento, infatti, veniva ritenuto sia dalla Questura di Lecce che dal TAR pugliese sufficiente motivo di rigetto della domanda.

Di diverso avviso, però, il Consiglio di Stato che, accogliendo il ricorso del Pakistano, ha chiarito che la misura speciale di cui all’art. 18 TU può essere concessa anche ai clandestini già destinatari di un ordine di espulsione.

La motivazione, secondo i giudici, sarebbe duplice: l’art. 18 è norma speciale che non prevede l’espulsione come motivo di diniego del permesso di protezione, e nemmeno la disciplina ordinaria preclude la concessione di un permesso di lavoro se l’espulsione è inflitta per clandestinità, come nel caso di specie è.

Inoltre, il succitato articolo 18, oltre a non individuare espressamente l’ordine di espulsione tra le ragioni ostative alla concessione, prevede che il permesso speciale di protezione possa essere convertito in un permesso di soggiorno ordinario per lavoro o studio all’unica condizione per cui il titolare, al momento della scadenza del primo, abbia in corso un regolare rapporto di lavoro o sia iscritto a un regolare corso di studi.

Ne consegue che, secondo il Consiglio di Stato, lo straniero espulso può beneficiare non solo del permesso di soggiorno concesso per motivi di protezione sociale, ma anche del permesso ordinario per lavoro o studio in cui lo stesso si chiede venga convertito.

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