Approvato in Senato il disegno di legge che, in attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite dell’84, vuole introdurre il delitto di tortura.
A spingere verso questa innovazione, innanzitutto, la condanna inflitta all’Italia a seguito dei fatti avvenuti in occasione del G8 di Genova.
Secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, quanto accaduto all’interno della scuola Diaz-Pertini la sera del 21 luglio 2001 deve infatti ritenersi contrario alla normativa internazionale ed europea di condanna ai trattamenti inumani e degradanti, ed in particolare alla CEDU.
Quella sera, a seguito della reazione verbale di una decina di persone e del lancio di una bottiglia vuota contro una pattuglia, circa 500 argenti si dirigevano – a loro dire per una perquisizione – verso l’istituto, adibito a pernottamento autorizzato dei manifestanti. Il tutto in breve tempo degenerava e gli agenti, fatta irruzione con un mezzo blindato, colpivano con calci, pugni e manganelli gli occupanti disarmati, a terra ed in posizione di resa.
Ciò causava, oltre ad un forte shock, fratture e lesioni per i civili, alcuni dei quali anche accusati (ma successivamente assolti) dei reati di associazione a delinquere volta al saccheggio e alla devastazione, di resistenza aggravata alle forze dell’ordine e di porto abusivo di armi.
A seguito di tali fatti la Procura di Genova apriva un’inchiesta cui conseguivano, nei confronti di una trentina di agenti, procedimenti per falso ideologico, calunnia, abuso d’ufficio, lesioni personali e porto abusivo d’armi da guerra.
Secondo la Cassazione, le violenze non giustificate e punitive perpetrate all’interno della Diaz dalle forze dell’ordine dovevano definirsi “tortura” ai sensi della Convenzione ONU in materia, o “trattamenti inumani o degradanti” secondo l’art. 3 CEDU.
Ciò nonostante, la mancata previsione nell’ordinamento italiano di una norma ad hoc impediva ne la condanna, risultando ormai prescritto il contestato reato di lesioni aggravate.
Interpellata da uno degli occupanti feriti nell’irruzione, anche la Corte di Strasburgo inquadrava i maltrattamenti come “tortura” e, data la violazione dell’art. 3 CEDU, condannava l’Italia a risarcire il ricorrente evidenziando la lacunosità dell’ordinamento interno.
Il voto del Senato dello scorso 17 maggio interviene dunque a seguito di tale vicenda, ed anche in ragione del recente sollecito con il quale la UE ha ricordato all’Italia di non aver ancora disciplinato, con sanzioni adeguate ed imprescrittibilità, i reati di tortura e di trattamenti degradanti.
L’approvata disciplina intende punire per “tortura” “chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa“.
Secondo il progetto, perché il reato si configuri deve constare di “più condotte“, ovvero deve comportare “un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona“. Non è previsto invece illecito se le sofferenze dipendono unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.
Le sanzioni per i “torturatori” variano dalla reclusione (fissata nel minimo a 4 anni) all’ergastolo, nel caso in cui venga volontariamente cagionata la morte della vittima. Aumenti di pena sono disposti per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio, o in ipotesi di lesioni gravi o gravissime.
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